Era nato a Roma il 21 giugno 1931, ci ha lasciato il 22 luglio del 2024 a 93 anni.
La sua storia è diventata tre anni fa un libro firmato dal nipote, il collega e amico di La7 Andrea Scazzola e da sua moglie, la collega Francesca Romana Carpentieri.
'Tricò, lo stilista delle Regine” è il titolo, da leggere tutto d’un fiato, scoprendo veramente un grande della moda, antesignano di tendenze, un’eccellenza che tutto il mondo ci ha invidiato.
Aveva vestito Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, Lauren Bacall, Claudia Cardinale, Allegra Agnelli, le regine di Grecia, Belgio, Danimarca. Pierluigi Trico’ ha segnato la storia della moda, una passione che ha le sue radici nell’infanzia con il fratello Luciano, anima amministrativa del brand, scomparso a 55 anni, con i genitori Giulio e Bianca, e la cognata Fiorenza senza la cui competenza nulla sarebbe stato uguale. Prima un’autonoma boutique nel 1961 e l'apertura dell'atelier a Via Gianturco, che da quel primo salotto del Flaminio con l'arazzo vola sulla pelle delle donne più belle del mondo, mixando innovazione a semplicità. Ma la strada per diventare stilista è stata lunga. Prima la laurea in giurisprudenza e l’impiego all'Inpdai, poi il primo abito per la contessa Consuelo Crespi, e la prima sfilata alla Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, diretta da Palma Bucarelli, che da subito aveva creduto in quel ragazzo alto e magro.
Irene Brin lo portò a Parigi sulla passerella di Pierre Cardin e a metà degli anni Sessanta arrivo’ il grande successo conquistando Parigi, Mosca, New York, per tornare a scendere dalla scalinata di Trinità de' Monti a Roma.
Il 1961 è l'anno della sua prima collezione primavera-estate alla Galleria nazionale d'Arte Moderna, nel 1962 ha partecipato alle sfilate nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, dove è restato fino al 1977. Ha girato l'Europa, nel 1970 creato la Tricò Sport, linea più commerciale, che ha sviluppato sino al 1982, affiancando da quel momento la produzione di abiti in tessuto. Era il 9 marzo 1962 quando la principessa Letizia Boncompagni Ludovisi mandò da Pierluigi Tricò Jackie Kennedy, che aveva in programma incontri con Papa Giovanni XXIII e con l'allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi.
Per la Kennedy comincia una mattina surreale, come racconta il nipote di Tricò Andrea Scazzola: «L'atelier si trova in un vecchio affascinane palazzo liberty con un ascensore di legno che funziona con dieci lire. Mio zio non ha la monetina quel giorno e con un cazzotto al bussolotto fa azionare il meccanismo che consente la salita. L'ascensore sobbalza e prende il via. Per una donna elegante è un mondo irreale, tra affreschi e parquet di legno che scricchiolano sotto i piedi».
Alla fine sceglierà tre abiti che si fa mandare all'Ambasciata Americana di via Veneto. Il successo di Trico’ si lega alla maglieria, i suoi "tricot" diventano marchio di fabbrica.
Scazzola spiega: «Usò la maglieria con una creatività diversa, non più legata a gonnelline e golfini. Diventava un tessuto che sprigiona una fantasia geometrica che sembra stampata, unendo la morbidezza della maglia alla fantasia della stoffa».
Trico’ dà il via agli abiti effetti optical, ordine geometrico e mix tra forme e colori, come lo scudo, copricostume che può essere un abito per una serata al mare e lascia scoperte di lato le gambe e che fa impazzir New York e Roma. Tra gli aneddoti, il rapporto con Allegra Caracciolo, moglie di Umberto Agnelli, la sfilata nel 1981 a Trinità dei Monti insieme a Valentino, Raquel Welch, che scelse l'abito per il film Le fate, Audrey Hepburn, Barbara Hutton, Elsa Martinelli. Tutti volevano Tricò.
Che tipo era nel privato tuo zio?
"Tricò era un uomo brillante, ironico, a volte caustico e tranchant nei giudizi. Veniva da una famiglia dove l'umorismo era fondamentale, un suo zio era Luigi Lucatelli, scrittore satirico dell'inizio del 900. Leggeva almeno un libro a settimana, con una passione per la storia, è una predilezione per Parigi e la Rivoluzione francese. Io e mia sorella, da bambini, eravamo affascinati dalle storie che inventava e ci raccontava, con personaggi surreali come il fantasma Ciabattone e la sua amica Genoveffa la bislacca.
Amava la bellezza, l'ordine, non accettava che un quadro in casa sua prendesse da un lato. Aveva una eleganza innata, aiutata da un fisico magro e longilineo, ma sempre con un tocco di originalità, perché detestava l'ovvio e il banale, di cui lo stile, quello vero, è l'antitesi. Proprio il suo amore per la bellezza credo lo abbia indotto a disegnare abiti per le donne, che dovevano essere sempre una gioia per gli occhi, contribuire con la loro presenza alla bellezza del mondo".
Quale è stato il primo abito che ha creato?
"Dopo una decina di foulard dipinti a mano che riuscì a vendere alla Rinascente, creò alcuni abiti originali, il primo fu per Consuelo Crespi, grigio aderente di maglia di lana, ravvivato dal filo di un gomitolo rosso di moher che avvolgeva insistentemente la vita formando al lato una sorta di grande rosa. Consuelo era perplessa proprio per quell'uso insolito della lana, poi provò l'abito e se ne innamorò immediatamente"
E l'ultimo?
"L'ultimo fu l'abito da sposa per mia moglie. Avevamo già due figlie e non eravamo certamente giovanissimi, ogni richiamo al bianco sarebbe stato ridicolo. Era un bellissimo tessuto salmone in seta che fasciava la vita, si allargava sui fianchi, con ruches sulle maniche e al fondo. Tricò aveva chiuso la sua attività da più di 10 anni, e non fu facile trovare qualche sarto che sapesse interpretare e realizzare il suo disegno".
Esiste un nuovo Trico’ o resta un unicum nel panorama della moda?
"Esiste un nuovo Tricò? Chissà... Certo la sua figura e il suo stile si nutrivano della atmosfera di un'epoca oggi impossibile da replicare. In quella Roma di inizio anni Sessanta, se avevi gusto e intraprendenza tutto diventava possibile, oggi no.
E quello stile, quella eleganza derivavano anche da un rapporto con l'arte e la cultura contemporanea che dettava tendenze, ma anche rivoluzionando il gusto si muoveva entro canoni di bellezza sostanzialmente condivisi.
Oggi è tutto più fluido, forse disgregato, abiti costosissimi rasentano talvolta la pacchianeria o forse soltanto la non vestibilità. Ecco: per Tricò un bell'abito, anche il più originale, si doveva prima di tutto poter indossare con disinvoltura, perché bellezza doveva riempire ogni momento della nostra vita".
A tuo parere cosa resta nel mondo della moda dell’eredità Trico’?
"Resta forse il segno moderno ma sempre attuale di figure nette, linee contrapposte, di un gioco di materiali e colori, anche pochissimi, che non sconfinino mai nel discutibile, nel fuori luogo, nella trivialità"
Chi è a tuo avviso che si ispira a lui tra gli stilisti attuali e/o le tendenze?
"Qui cara Francesca mi trovi un po' impreparato, seguo poco il panorama della moda attuale.
Posso dire che chiunque persegua bellezza, rigore stilistico e femminilità sofisticata potrebbe andarsi a ricercare le foto degli abiti di Tricò lungo tutti i quaranta anni della sua attività, anche perché il suo archivio è oggi a disposizione, inserito nel sistema archivistico del Ministero dei Beni culturali"
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